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[su_tab title=”Trama”]
La politica e la malavita si intrecciano in una Roma senza misura, dove vige la regola del più forte. Quest’intreccio fa da sfondo alle vicende di un politico corrotto, un subdolo organizzatore di feste e il nuovo boss di Ostia: numero 8.
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[su_tab title=”Dettagli”]
Un film di Stefano Sollima. Con PierFrancesco Favino, Elio Germano, Claudio Amendola, Greta Scarano, Giulia Elettra Gorietti. Genere: drammatico, noir. Durata 130 min. Italia 2015.[/su_tab]
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RECENSIONE | Capolavoro? Si, cioè, quasi. Il ragazzo è intelligente ma non si applica, è la solfa che si sentivano dire le madri di parecchi scolari. Il “quasi” è riferibile al fatto che, un film per poter essere definito tale deve possedere in sé i semi di un qualcosa che trascende l’immediato e la mera cronaca, affinché possa sedimentarsi nel pensiero comune. Per poter giungere a questo qualcosa in più, esso deve anticipare i tempi. Ad esempio, nel 1999 la dipendenza dai computers non era così invasiva come dimostrato in Matrix eppure, negli anni avvenire, è accaduta realmente. Considerazione che potrebbe valere anche per i libri: all’uscita di Gomorra di Roberto Saviano, abbiamo tutti gridato al miracolo, perché mai nessuno aveva sviscerato con tanta dovizia di particolari l’attività criminosa delle famiglie camorristiche. Era un precursore. In pochi, ad esempio, erano a conoscenza del ruolo sempre più importante assunto dalle donne nella gestione dei traffici. Lo abbiamo scoperto grazie al suo autore, che ha focalizzato all’attenzione generale su quel problema, anticipandone i tempi. Peccato che poi si sia limitato a diventare una mera presenza televisiva e poco altro. Il cinema, e l’arte in genere, diventa guida e quindi capolavoro quando illumina la realtà e permettere di aprire le coscienze di noi comuni mortali. Che la malavita e la politica a Roma siano mischiate e che imperversano a danno dei cittadini, è oramai cosa consacrata, basta aprire i quotidiani od accendere la tv per sentire parlare di Mafia capitale. Come diceva l’immenso, meraviglioso e mai dimenticato Troisi, infatti per poter fotografare la realtà non c’è bisogno di un grande regista come Ingmar Bergman, ma basta rivolgersi a un qualunque vigile urbano. Quello si che ne vede tanta di realtà!
Questo quid mancante, impedisce al bellissimo film in questione di spiccare il volo verso l’altissimo e fregiarsi nell’ambizioso titolo di capolavoro. Ma attenzione, non siamo di fronte, tanto per continuare con la metafora scolastica, al classico compitino stiracchiato, del sei meno meno, di fine anno, all’ultima interrogazione di fine giugno, sostenuta giusto per evitare la bocciatura.
Si tratta di un grandioso prodotto, che tocca i vertici assoluti del genere drammatico-noir (difficile scrivere poliziesco, perché di tutori della legge, manco l’ombra!) per tutti gli elementi propri del genere: adrenalina a mille, tensione costante e ritmo incalzante. Il tutto corredato da una regia di primissimo livello. Con inquadrature degne di nota, con una fermezza della camera, inusuale per film italiani di questo genere. Esemplificativa in questo senso la scena della sparatoria al centro commerciale. La luce, fosca e coperta, spiazzante ci accompagna per tutto il film, come la pioggia che senza sosta, dona la giusta atmosfera, mai banale, mai pacata. Non c’è un attimo di tregua per lo spettatore, così come non c’è redenzione e pentimento per i cattivissimi protagonisti.
Il non scavare a fondo i personaggi, il non addentrarsi, il restare a lato del fiume senza mai immergersi, è la seconda pecca del film. Difatti mai, e in nessun caso ci si addentra nella psiche dei personaggi, né tantomeno perché si è giunti a quella determinata soluzione.
Tutto il tessuto narrativo è costruito come una serie di vasi comunicanti, tutti legati dallo scopo principale che fa da motore della storia: una grande speculazione edilizia permetterà di trasformare il litorale di Ostia in una sorta di Las Vegas. Per permettere ciò c’è bisogno dell’impegno politico dell’immischiato Filippo Malgradi (un gigantesco, come al solito, PierFrancesco Favino), corrotto ma ricattabile da una famiglia di zingari malviventi e arricchiti, gli Anacleti, capeggiata dal cattivissimo Manfredi (Adamo Dionisi) che tiranneggia su un organizzatore di eventi (Elio Germano) lascivo e apparentemente mite, e su una fragile escort di lusso (Giulia Elettra Gorietti) e dal nuovo boss di Ostia, numero 8 (Alessandro Borghi) che incurante dei rischi sogna di espandersi insieme alla sua compagna, la “tossica” Viola (Greta Scorano). A controllare il tutto il Samurai (Claudio Amendola) un oscuro tessitore di fili.
Non è capolavoro di certo, non cambierà il cinema italiano, ma la vostra serata certamente si.
La speranza è quella che il regista dopo l’esordio meraviglioso di A.C.A.B., la regia di Gomorra-la serie, forse il prodotto televisivo migliore di sempre e questo film, smetta di specchiarsi in sé stesso ed inizi a dare nuova linfa e slancio alle sue idee, cimentandosi in una nuova avventura che esplori altro, come il mai domo Matteo Garrone, che con il suo coraggio affronta sempre sfide nuove.
Ci vuole molto coraggio a cambiare ed esplorare nuovi generi, perché spesso si tratta di scelte che non pagano al botteghino, ma necessarie per diventare un autore ricco di idee, curioso ed originale.
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